Zapatero all'italiana
Il capo del governo spagnolo ossessiona politici e giornalisti italiani, che lo dipingono – a destra e a sinistra – con toni decisamente esagerati, scrive Rubén Amón
L'arrivo di Zapatero sulla scena politica spagnola ha incuriosito un po' tutti a causa della scelta di ritirare le truppe dall'Iraq. Ma nessun paese segue il capo del governo spagnolo con tanta attenzione quanto l'Italia. In alcuni casi lo fa per esaltarlo, trasformandolo nel paradigma di una sinistra desiderabile; in altri per accusarlo di tutto, dall'essere un trasgressore della morale a un ingenuo "buonista" circondato dagli sciacalli.
Nonostante le divergenze, tutti riconoscono un fatto: José Luis Rodríguez Zapatero mantiene le promesse. O almeno tiene fede agli aspetti più controversi del suo programma e a quelli che può realizzare unilateralmente – a cominciare dalla sfacciataggine dimostrata nel dopoguerra iracheno contro G.W. Bush per finire con la recente approvazione dei matrimoni gay.
Le parole usate per descrivere il premier spagnolo sono quasi sempre eccessive: basta dare un'occhiata ai giornali italiani di sinistra per scoprire che Zapatero ha riscattato la nazione spagnola dal feudalesimo e dal clericalismo, che José María Aznar era un prolungamento del franchismo e che gli spagnoli si sono risvegliati solo ora da un letargo presidenzialista e oscurantista. Ma le cose non stanno così.
E non è neanche legittimo cadere nella tentazione del revisionismo – un'abitudine a cui gli italiani non sanno rinunciare, una malattia contagiosa in tempi d'incredulità – e stabilire un'associazione tanto implicita quanto malevola tra la destra di oggi e il caudillo spagnolo.
Questo momento storico non è segnato da un atteggiamento conciliatore né dalla politica con i guanti bianchi promessa da Zapatero quando, con un sorriso infantile, ha detronizzato Aznar mettendo fine al suo delirio egocentrico. Al contrario: le manifestazioni contro il Psoe, il ricatto delle forze nazionaliste, la crisi nei rapporti con la chiesa e il conflitto con il Partito popolare stanno portando la Spagna all'esasperazione.
Ma è questa l'immagine che l'Italia ha della Spagna? La mia impressione è che quando c'è di mezzo il capo del governo spagnolo la stampa italiana – dall'Unità al Foglio – preferisce scegliere tra l'elogio estasiato e la caricatura.
Lo zapaterismo può essere sinonimo di modernità, coscienza sociale e progressismo, ma anche d'immoralità, demagogia e gelida tecnocrazia. Sono due estremi che tendono a far dimenticare buona parte della quotidianità del governo. Non c'è bisogno di cercare consensi quando si manda un aereo a riprendere i soldati in Iraq – i rischi diplomatici che questo gesto comporta sono un altro paio di maniche – ma Zapatero, costretto a governare senza maggioranza assoluta, ha molte più difficoltà quando deve trattare con altri soggetti politici o quando intervengono elementi fuori dal suo diretto controllo.
Per questo non è riuscito a mantenere la promessa di tenere a bada il prezzo delle case e non ha ancora trovato una soluzione per la crisi scatenata dal nazionalismo catalano e basco. Non è stato neanche capace di rilanciare la politica estera spagnola o di scongiurare il fantasma del terrorismo.
Sono questi i problemi fondamentali del paese, ma i colpi a effetto e le manovre propagandistiche – come il ritiro di una statua equestre di Franco a Madrid – sviano l'attenzione dal dibattito politico verso un terreno inappropriato, e sollevano problemi superflui per l'opinione pubblica. Sono fuochi d'artificio che fanno più impressione se visti da fuori, ma che cominciano a far perdere la pazienza a molti elettori che hanno votato il premier perché diffidavano del fumo e del rumore.
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