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L’ Aids e il vaccino che non c’é

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2005 15:11
19/10/2005 15:11
 
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Venticinque anni dopo la prima diagnosi ufficiale di Aids in un essere umano, le conseguenze umane, sociali ed economiche della malattia sono ancora drammatiche nei paesi in via di sviluppo, e in particolar modo nell’Africa Sub-Sahariana, dove vive la maggior parte dei quaranta milioni di persone malate di Hiv/Aids: ogni minuto muoiono sette persone, e ogni giorno diciassettemila contraggono il virus. L’Aids distrugge capitale umano non solo mietendo vittime, ma anche riducendo la qualità della vita, l’energia e la produttività degli individui che lo contraggono, e scoraggiando, tra le altre cose, l’investimento in istruzione, essenziale per il progresso economico e sociale dei paesi poveri. L’anno scorso, le conclusioni del Copenhagen Consensus, un panel composto da alcuni dei più importanti economisti a livello internazionale, hanno messo la lotta all’Hiv/Aids al primo posto nella lista delle priorità, giudicando l’eradicazione della malattia come l’intervento dai maggiori benefici economici in termini assoluti.

Il "calo d’attenzione" in Occidente

In contrasto con il dramma dei paesi più poveri, in Occidente sono stati compiuti grandi progressi nella riduzione dei decessi per Aids, soprattutto grazie ai farmaci antiretrovirali, che si sono diffusi negli ultimi dieci anni. Chi si infetta oggi in un paese occidentale ha una prospettiva di vita di trenta anni, contro i dieci degli anni Ottanta. Quali misure adottare per combattere l’Aids anche nei paesi più poveri? Da un lato, vi è chi vorrebbe che i farmaci anti-Aids venissero distribuiti gratuitamente o a basso costo; dall’altro vi è chi sostiene che una tale misura finirebbe con il disincentivare la ricerca di nuovi farmaci da parte delle compagnie farmaceutiche. Altri ancora sostengono che la via migliore per combattere l’Aids è la prevenzione attraverso l’uso di profilattici o l’abbandono di pratiche sessuali a rischio. È però un dibattito molto limitato, e non conduce a una soluzione di lungo periodo. Accanto alla prevenzione, nel lungo periodo la strategia più efficace contro l’Aids sarebbe la ricerca e la scoperta di un vaccino che renda immuni dal virus. Sebbene possa sembrare paradossale, la presenza di migliori cure, in assenza di una serie di altri interventi correttivi, può avere effetti "perversi". Quando esiste una cura contrarre una malattia diventa meno "costoso", cosicché diventano più frequenti comportamenti individuali che aumentano la probabilità di ammalarsi. Nel caso dell’Aids, comportamenti a rischio includono l’utilizzo di siringhe usate da parte di tossicodipendenti o rapporti sessuali senza protezione. L’Aids può venir vissuto come una malattia cronica, ad esempio come il diabete, per la quale esistono cure ragionevolmente efficaci e contrarla può non avere effetti devastanti sulla salute e lo stile di vita. Questo "razionale" calo d’attenzione può generare una serie di conseguenze negative. Un soggetto a rischio che tiene comportamenti meno controllati si espone non solo a contrarre la malattia, ma anche a diventarne un vettore verso altri individui, che diventano a loro volta vettori, e così via. Inoltre, con una speranza di vita maggiore, le persone affette da Aids possono fungere da vettori per un tempo più lungo. Infine, un uso molto esteso dei farmaci e una maggiore diffusione del virus può portare alla mutazione del virus stesso, verso forme più resistenti (o ‘immuni’) alle cure. Un soggetto a rischio che diviene meno attento nei suoi comportamenti, con la speranza di poter usufruire di cure migliore e di una migliore qualità della vita, crea dunque un’esternalità negativa, cioè produce costi per la collettività. Oltre che di natura umana e sociale, i costi sono anche economici, poiché le risorse necessarie per le terapie sono elevate. Queste considerazioni sono purtroppo coerenti con una serie di dati e fatti osservati nel mondo occidentale. In Italia, ad esempio, alla sensibile riduzione nel numero di morti per Aids dall’introduzione delle cure antiretrovirali non si è accompagnato un proporzionale calo delle infezioni. Un recente rapporto pubblicato sul settimanale americano The New Yorker offre informazioni interessanti sulla comunità gay di San Francisco, profondamente colpita e provata dall’epidemia di Aids negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Molti omosessuali, anche per la disponibilità di cure più efficaci, sembrano aver allentato la "vigilanza". Le infezioni di Hiv a New York e San Francisco sono infatti in crescita, e una crescita ancora maggiore registrano le infezioni di altre malattie sessualmente trasmissibili come la sifilide. Tutto ciò mostra non solo che cure e prevenzione non sono sostituti, ma, specialmente nel caso di malattie trasmissibili e letali, sono fortemente complementari: un effetto netto positivo dell’introduzione di cure più efficaci, dipende strettamente dalla presenza di massicce campagne di prevenzione, altrimenti potrebbe generare effetti opposti a quelli desiderati. Le campagne di prevenzione si dimostrano poco efficaci nei paesi occidentali, ma sono ancora più difficili nei paesi in via di sviluppo dove a rischio non sono, come negli Usa o in Italia, piccole minoranze, ma una considerevole frazione della popolazione. In Africa meridionale e orientale, ad esempio, alcune abitudini sessuali e sociali, come rapporti non protetti e per gli uomini relazioni con più donne, sono diffuse e radicate in tutte le fasce della popolazione. Non solo, ma in molti paesi, come ad esempio l’India, il sesso è un argomento ‘tabù’. Inoltre, il ricorso ai farmaci è molto più oneroso per l’assenza di infrastrutture mediche. Il vaccino, invece, rende la popolazione immune al virus prima del contagio ed elimina così la componente di esternalità perché annulla il ruolo di vettore dei singoli individui, mentre riduce i costi per la prevenzione e per i farmaci.

Incentivi alla ricerca

Eppure, alla ricerca sui vaccini è destinata solo una miserrima parte rispetto alle spese dedicate alla ricerca sui farmaci post-contagio: circa un decimo nel settore privato. (1) Perché? Sicuramente, ricerca e sviluppo di un vaccino sono enormemente costosi. Tuttavia, alcuni recenti studi si concentrano su aspetti più sottili del problema. Michael Kremer e Christopher Snyder notano una importante differenza tra la redditività di un farmaco post-contagio e di un vaccino. Un vaccino è venduto prima che un individuo abbia contratto la malattia. Di conseguenza, individui con una minor probabilità di contrarla potrebbero scegliere di non vaccinarsi, a meno che il prezzo del vaccino non sia molto basso. Ma a quel punto, l’investimento in ricerca non sarebbe più redditizio per l’impresa. Al contrario, una volta che un individuo ha contratto il virus, indipendentemente dalla sua probabilità di contrarlo a priori, sarà disposto a pagare lo stesso (alto) ammontare per ottenere il farmaco. Di conseguenza, una impresa può trovare vantaggioso un investimento iniziale in ricerca. È interessante notare che, anche qualora il farmaco fosse meno efficace del vaccino, e quindi socialmente meno desiderabile, un’impresa potrebbe avere comunque incentivi a investire in ricerca sul farmaco. Nel caso dell’Aids, queste dinamiche sono particolarmente rilevanti, perché il rischio di infezione è molto eterogeneo nella popolazione. In più, il vaccino, oltre a immunizzare un individuo, riduce anche la diffusione della malattia, e quindi deprime la domanda di cure, diminuendo ulteriormente gli incentivi di imprese private a produrre vaccini. Siamo dunque di fronte a un caso di fallimento del mercato a cui potrebbe rimediare l’operatore pubblico. A fronte dei costi della malattia, dei potenziali alti costi per la prevenzione e la cura, e degli effetti perversi dalla scarsa coordinazione fra interventi di prevenzione e di cura, specie nelle aree più povere e colpite dalla malattia, potrebbe risultare complessivamente efficiente un ingente impegno pubblico nel campo dei vaccini.
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