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Benvenuti in Israele?

Ultimo Aggiornamento: 06/11/2005 08:30
06/11/2005 01:15
 
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Per questo (ci chiedono alcuni esponenti gay italiani), il movimento gay italiano deve schierarsi incondizionatamente dalla parte d’Israele.

Siamo andati a verificare le denunce. Scoprendo che...



“Israele”, secondo l’autorevole editorialista del “Corriere della Sera”, Paolo Mieli, che invoca un maggiore appoggio da parte dei gay italiani verso questo stato, “è l’unico Paese in tutto il Medio Oriente che non ha leggi contro la sodomia né prevede norme tipo ‘offese contro la religione’ o ‘condotta immorale’ usate di solito per perseguitare i gay, le lesbiche e le persone transessuali”. Inoltre, Israele "accoglie i gay palestinesi che fuggono dalla persecuzione omofoba nei territori occupati" (12/5/2003, http://www.gaynews.it/view.php?ID=24674).

Mieli ha fatto questo commento rispondendo a una lettera dell’ex militante gay italiano, Angelo Pezzana (oggi presidente della Federazione delle associazioni Italia-Israele) e citando espressamente un articolo di Daniele Scalise, giornalista gay collaboratore de "Il Foglio" (il quotidiano di Veronica Berlusconi) del 10 aprile 2003.



"Negli ultimi anni”, diceva Scalise in questo articolo, “centinaia di gay palestinesi sono letteralmente fuggiti dai Territori trovando rifugio in Israele. La vita di un gay sotto il regime del signor Arafat è letteralmente un inferno" (http://www.arcigaymilano.org/dosart.asp?ID=2683).

L’accoglienza da parte di Israele ai gay palestinesi è la migliore dimostrazione del fatto che "libertà e democrazia costituiscono due pilastri su cui si fonda" la società israeliana.



Più di recente, il 17/5/2005, commentando la proibizione da parte delle autorità israeliane del world pride di Gerusalemme, Daniele Priori (esponente di Gay Lib, l’associazione dei gay di centrodestra) ha affermato (http://www.gaylib.it/priori/gaylab1.html) che nonostante tale proibizione “va riconosciuto che lo Stato di Sion, Israele, è tra i primi al mondo a riconoscere i diritti degli omosessuali ed è in molti casi il primo rifugio per i gay palestinesi e arabi ma addirittura per le numerose coppie miste israelopalestinesi che, su quella maledetta striscia, vengono inevitabilmente a crearsi”.



La denuncia più accorata è però quella della rivista gay “Lui/Guidemagazine” (ottobre 2004) che ha pubblicato un intero dossier, “Qualche domanda ad Arafat”, il cui sommario da solo spiega tutto: “Israele e Palestina. Giovani omosessuali obbligati al terrorismo suicida. Ormai è certo: il durissimo sistema di oppressione a cui sono sottoposti i gay palestinesi, giovani in particolare, ha la funzione di costringerli a ‘riscattarsi’ compiendo missioni ‘kamikaze’. Invece di comprendere, le associazioni internazionali, i politici e i giornalisti dovrebbero muoversi di più”.



Insomma: i gay palestinesi, a quanto pare, “votano con i piedi”, e in modo chiaro, a favore d’Israele. Ciononstante, sottolinea Pezzana nella lettera sopra citata, in Italia i gay manifestano “nei cortei contro quelle democrazie nelle quali un omosessuale è libero di essere se stesso e tacciono, o addirittura difendono, orribili dittature dove l’omosessualità è punita sovente con la pena di morte”. I gay italiani infatti “manifestano contro Israele, imbottiti di odio ideologico, senza sapere che in Israele da sempre l’omosessualità è libera e rispettata”.



Di fronte ad accuse tanto precise, non restava da fare altro che qualche verifica dei dati, per poi trarne le debite conclusioni.



Abbiamo quindi iniziato con l'Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (www.unhcr.it), chiedendo loro, come prima cosa, il dato sul numero di rifugiati in Israele e, se possibile, sul numero di rifugiati omosessuali. L’Unhcr, però, non solo non è stato in grado di darci notizie sulla seconda cifra, ma neppure sulla prima (che per altre vie abbiamo poi appreso aggirarsi attorno alle 550 persone in tutto).

Eppure Davide Frattini, in un articolo del “Corriere della Sera” del 29 febbraio 2004, non aveva avuto problemi a specificare che “secondo l’associazione [gay israeliana] Aguda, almeno 300 gay palestinesi si sono rifugiati in Israele” (http://www.arcigay.it/show.php?863).

Ma va chiarito subito che la loro condizione non è giuridicamente quella di rifugiati, secondo lo stesso Frattini: “I gay palestinesi vivono come clandestini in Israele. Il rischio maggiore per loro è essere arrestati [dalla polizia israeliana, ndr.] e rispediti a Gaza o in Cisgiordania dove subirebbero rappresaglie. (...) Il governo israeliano concede con difficoltà lo status di rifugiati (previsto dalla convenzione Onu del 1951, firmata da Israele) a questi giovani palestinesi”.

E la circostanza è confermata anche da Joseph Algazy nell'articolo “Palestinesi in clandestinità”, pubblicato il 2 luglio 2004 da “Ha'aretz”, il più autorevole quotidiano israeliano della sinistra: "Oggi nessuna amministrazione è disposta a concedere un permesso di soggiorno temporaneo a un omosessuale palestinese". E fra “con difficoltà“ e “nessuna” (cioè mai) c’è una bella differenza!

Comunque i “circa 300 gay palestinesi, che trovano rifugio per lo più a Tel Aviv” sono piaciuti, il 14 luglio 2005, anche a Barbara Millucci, del settimanale di sinistra "Avvenimenti" (http://www.wema.com/art.asp?id=1975). Che però precisa a sua volta che "Israele non li accoglie come rifugiati".

Insomma, approfondendo la cosa, il “benvenuto” descritto da Mieli e Pezzana e Scalise si rivela meno “caldo” di quanto sembrasse.



Per districare il nodo, abbiamo cercato un parere autorevole direttamente dall’ambasciata di Israele a Roma.

Rachel Feinmesser, portavoce dell'Ambasciata, contattata telefonicamente, è molto gentile ma alquanto vaga: "Rispetto alle leggi sullo status di rifugiato devo fare una richiesta per avere tutte le informazioni. In questo momento non vorrei darle informazioni sbagliate”.

Cosa rischia un clandestino in Israele?, le chiediamo.

"C'è un processo legale e espulsione immediata, ma non conosco francamente il processo esatto.

Non so da dove fosse uscita quella notizia due anni fa. Nessuno potrà darle una cifra ufficiale: sui clandestini non c'è controllo.

Le suggerisco di sentire le associazioni gay israeliane".

Concludiamo concordando che mi farà sapere, via mail, il numero di rifugiati in Israele, notizie sulla legislazione sul diritto di asilo e altro, ma sfortunatamente al momento di andare in stampa non era ancora stato possibile ottenere questi dati.



Possibile che non si riesca a sbrogliare l'intricata vicenda?

Proviamo a cercare dati al Consiglio europeo, che nel 2003 era stato interpellato proprio su questo tema (http://www.arcigaymilano.org/stampa/dosart.asp?id=2487) dai radicali Maurizio Turco e Marco Cappato, che chiedevano conferma o smentita alla notizia per cui cui, secondo l’associazione gay di Tel Aviv, Aguda, "nei territori dell'Autorità palestinese gli omosessuali sono vittime di persecuzioni, arresti, soprusi e torture, che talvolta conducono alla morte, e molti di loro potrebbero essere giustiziati".

La risposta? "Il Consiglio non può confermare le informazioni e non ha trattato specificatamente la questione". (http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?L=IT&OBJID=68717&LEVEL=3&SAME_LEVEL=1&NAV=S&LSTDOC=Y).



Proviamo allora a chiedere allo schieramento opposto: Nemer Hammad, ambasciatore italiano dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), ci dichiara:

"Sicuramente è falso. Io credo che gli israeliani non accettino nessun clandestino. Hanno perfino cambiato le leggi per impedire ai cittadini israeliani di sposarsi con i palestinesi...

Com'è possibile che 300 palestinesi siano rifugiati o clandestini? Non bisogna usare l'omosessualità per fare propaganda.

Israele usa l'omosessualità per danneggiare lo stato palestinese, che è sì una società conservatrice, ma, storicamente, l'accettazione dell'omosessualità è un processo graduale.

Non c'è nella società palestinese un riconoscimento di diritti ai gay, ma non c'è oppressione.

In Palestina non esiste una pena di morte per gli omosessuali [come affermarvano Turco e Cappato, ndr]. Dobbiamo essere realistici.

Ancora oggi in certe società ove le libertà individuali non sono mature non c'è riconoscimento ufficiale per i diritti degli omosessuali. Nessun omosessuale palestinese si esprime pubblicamente. Ma credo che dalla parte israeliana si cerchi di fare confusione".



Riepiloghiamo. “Nessuno”, “casi isolati”, “centinaia” o “300” palestinesi vivrebbero come clandestini in Israele. Ci pare al tempo stesso troppo e troppo poco...

Alla ricerca disperata della fonte della notizia, sentiamo Daniele Scalise, su suggerimento del quale ("senti i movimenti gay israeliani, sono loro la fonte") inviamo almeno trenta e-mail a movimenti per i diritti umani, alle associazioni gay israeliane, alle associazioni di gay mussulmani, oltre a quelle già inviate ai quotidiani israeliani.

Riceviamo solo due risposte.

Faris Malik, del sito Queer jihad (http://www.queerjihad.org/), gay mussulmano, ci scrive "Non so davvero dove trovare questa informazione, ma sarebbe meglio verificare con un’organizzazione chiamata Jerusalem open house".

Va bene. Li sentiamo. Haneen Maikey, Coordinatore del contatto coi palestinesi (Palestinian outreach coordinator) della Jerusalem open house, associazione glbt di Gerusalemme, contattata da Andrea Pini per “Pride”, scrive: "La maggior parte delle storie che conosco, le conosco da articoli di giornale. Credo che questo abbia a che fare col fatto che il nostro centro si trova a Grusalemme. I gay palestinesi che vivono illegalmente in Israele, di solito scelgono di vivere a Tel Aviv”.

In una mail separata a me Maikey aggiunge: “Nessuno può dire esattamente quanti palestinesi gay siano fuggiti in Israele. La gente parla di circa 50 o 60 giovani. Di solito vivono in condizioni molto difficili, senza lavoro, non parlano ebraico e sono in Israele illegalmente. Poche Ong hanno cercato di sollevare il problema col ministro dell’interno ed hanno sempre ottenuto la stessa risposta. Lo stranissimo assunto dei ministri è che se il governo israeliano concedesse asilo ai gay palestinesi secondo la convenzione internazionale per i rifugiati, ciò aprirebbe la porta ad altri palestinesi, che pretenderebbero di appartenere alla comunità glbt per ottenere lo stesso status da Israele”.



Ci trasferiamo allora a Tel Aviv. Ma Aguda, l’associazione per i diritti glbt di Tel Aviv, non risponde né alle mail (ho provato tre volte) né al telefono (quello che ci offre la segreteria telefonica: il numero telefonico sul sito, che evidentemente non è aggiornato, è cambiato).



Sembra che siamo arrivati infine a un vicolo cieco. Ma come spesso accade, ecco che tutto si sblocca con la scoperta di un articolo (http://www.indegayforum.org/authors/varnell/varnell97.html) di Paul Varnell, estremamente simile (per gran parte addirittura identico), a quello di Daniele Scalise su "Il Foglio", ma pubblicato prima (il 28 agosto 2002) dal "Chicago free press", una testata gay. Strano.

Tocca adesso a Paul Varnell sentirsi domandare le sue fonti e, almeno lui, ci risponde l'1 ottobre 2005: "Il mio editoriale si basava quasi interamente sul materiale di un’inchiesta pubblicata su “New Republic” da Yossi Klein Halevi, ed ho ben poche informazioni oltre a queste”. Ecco, alla fine siamo arrivati alla fonte di tutte le fonti.

Che non è una fonte “neutrale”, bensì un giornalista politicamente schierato con la destra. Yossi Klein Halevi appartiene infatti allo “Shalem center” (http://www.shalem.org.il/), un “istituto di ricerca indipendente” israeliano a cui appartiene anche l’esponente di estrema destra Natan Sharansky (http://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/ShowFull&cid=1115519113275), uno dei sostenitori della “pulizia etnica” e dell’espulsione forzata di tutti i palestinesi dalle loro terre. Inoltre Halevi è autore di un libro intitolato, con candore, Memorie di un estremista ebreo (Memoirs of a jewish extremist). Con un tale curriculum, sarebbe un po’ azzardato definirlo “super partes”.

Eppure è questa la fonte di partenza, quella che il 19 agosto 2002 pubblica sul settimanale conservatore "The new Republic", la notizia che fa il giro del mondo (http://www.sodomylaws.org/world/palestine/psnews008.htm).

Nell’articolo di Halevi, Shaul Ganon, della già citata associazione glbt Aguda, dichiara: “Negli ultimi anni centinaia di gay palestinesi, per la maggior parte della Cisgiordania, si sono introdotti in Israele. Molti vivono illegalmente a Tel Aviv, il centro della comunità gay israeliana, molti sono disperatamente poveri e lavorano come prostituti”.

"Ganon”, continua il pezzo di Yossi Klein Halevi, “ha aiutato circa 300 palestinesi gay e valuta che probabilmente il doppio di tale numero viva attualmente in Israele, senza accesso a un lavoro legale, copertura sanitaria, e sotto la costante minaccia della deportazione”.

In questo articolo Halevi è il primo a dare le notizie sui presunti assassinii di gay palestinesi, compresa quella sul giovane gettato in un pozzo e lasciato a morire di fame.

A questo punto la sequenza è chiara. Halevi scrive una notizia su un giornale filo-israeliano. Paul Varnell la riprende, come lui stesso dichiara, senza verificarla. Scalise la ripropone, un anno dopo, su "Il foglio". Mieli legge Scalise e la cita ulteriormente.

Questo non è accaduto solo in Italia. L’articolo di Halevi è stato ripreso, sempre senza ulteriori verifiche da parte di nessuno, anche da prestigiose testate internazionali. Tutte attingono dalle dichiarazioni di Ganon (il cui cognome, a furia di essere citato, si è trasformato in “Gonen”), l’unico ad aver mai dichiarato alla stampa che centinaia di palestinesi gay vivono come clandestini in Israele.

E in effetti Maya Bourshtein, dell'ufficio stampa dell'Ambasciata israeliana (che mi consiglia anche di consultare questo sito http://www.acri.org.il/english-acri/engine/list.asp?topic=28), in un mio ulteriore tentativo di ottenere informazioni sui gay palestinesi rifugiati in Israele mi dà proprio il numero di telefono di Shaul Ganon. Ma qui, e confesso il mio limite, mi blocco di fronte alla barriera di un’eterna segreteria telefonica in ebraico.



L’ambiguità delle fonti non ha però mai impedito alla destra del movimento gay italiano di inveire contro il movimento gay “comunista” che “odia Israele”.

Ecco ad esempio Angelo Pezzana su "Libero", 16/5/2003 (http://www.gaynews.it/view.php?ID=24705): "Bisogna vederli invece come si scaldano [i gay italiani, ndr] quando c'è da urlare contro l'America. O Israele, dove l'omosessualità è non solo una normalissima condizione di vita, riconosciuta e rispettata, ma è il luogo più vicino che gli omosessuali palestinesi cercano disperatamente di raggiungere per sfuggire alle regole di un mondo chiuso e arretrato come quello islamico".

Il che equivale a dire che l’Italia è una democrazia perché permette a centinaia di marocchini di vivere in clandestinità e di prostituirsi, sotto la costante minaccia di espulsione.

Forse i criteri per valutare la democraticità di Israele, e dell’Italia, dovrebbero essere altri... e il fatto di affermarlo non implica né l’odio per Israele, né l’odio per l’Italia, ma solo banalissimo buonsenso.

Qualità, a quanto pare, assai rara fra certi esponenti del mondo gay.



[Ringrazio Andrea Pini, Renato Sabbadini, Gianpaolo Silvestri e Riccardo Gottardi per le preziose informazioni fornitemi].



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L’articolo de “Il foglio”.

Daniele Scalise, Essere omosessuali e palestinesi (e scappare in Israele) “il Foglio”, 10/04/2003.

Negli ultimi anni centinaia di gay palestinesi sono letteralmente fuggiti dai Territori trovando rifugio in Israele. La vita di un gay sotto il regime del signor Arafat è letteralmente un inferno. Tre i casi recenti: Tyseer, un ventunenne (gay) di Gaza, è stato massacrato prima dal fratello maggiore e poi dalla polizia che lo ha immerso in una fogna, seppellito di feci, bastonato e quasi ucciso. Si è salvato fuggendo in Israele. Samir, giardiniere, racconta di un suo amico gay tenuto in fondo a un pozzo durante il Ramadan letteralmente a digiuno, nel senso che per un mese non gli hanno dato né da bere né da mangiare. Il ragazzo è morto.

L’anno scorso un uomo americano ha seguito il suo boy friend arabo nella West Bank. Quando al villaggio si è saputo che erano amanti, si sono visti recapitare un ordine del tribunale islamico che li accusava di omosessualità, reato che prevede cinque tipi differenti di morte, dalla lapidazione al rogo. La coppia è riuscita a stento a mettersi in salvo (in Israele).

Tre gay palestinesi arrestati un mese fa per essere entrati illegalmente in Israele potrebbero essere espulsi. I militanti dell’Associazione per i diritti civili e l’Associazione di omosessuali e lesbiche hanno chiesto al ministro dell’Interno Avraham Poraz di intercedere perché venga concesso loro un permesso provvisorio in attesa di trovare una sistemazione in un paese europeo visto che “se tornano a casa li aspetta la morte sicura”.

Sappiamo che questo non basterà a convincere coloro che sventolano la kefyah come vessillo di libertà. Rimane però il fatto che domani non potranno venirci a raccontare che non sapevano.
06/11/2005 08:30
 
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Secondo me non possiamo arrivare a giudicare un paese in base al modo in cui tratta i gay. secondo questo ragionamento gli stati uniti sarebbero la nazione più ammirevole del mondo, visto che là gli omosessuali hanno praticamente pieni diritti. [SM=x432721]
allora dico, da un lato apprezzo israele per l'atteggiamento di apertura che ha nei confronti dei gay, dall'altro però non posso dimenticare la politica repressiva e violenta che per decenni ha utilizzato contro i palestinesi.



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