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Genitori gay e lesbiche: è boom

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2006 09:52
15/12/2005 19:40
 
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Papà gay, mamma lesbica. In Italia il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche, con più di 40 anni, hanno almeno un figlio. La quota scende ma rimane significativa se si considerano tutte le fasce d'età. Sono genitori un gay o una lesbica ogni venti. Per la precisione il 5% dei primi (il 4,7% è padre biologico) e il 4,9% delle seconde (il 4,5% biologica). Ha rivelarlo è Modi-di, la più estesa indagine statistica mai condotta in Italia sulla popolazione omosessuale e bisessuale e la prima ad aver riguardato anche l'universo femminile, condotta da Arcigay con il sostegno dell'Istituto superiore di sanità. I risultati della ricerca, che ha coinvolto negli ultimi mesi circa 10mila persone, saranno presentati in un convegno a Firenze, venerdì 16 dicembre, ore 9, Palazzo dei Congressi, piazza Adua 1.

“L'alto numero di genitori omosessuali è il fatto che colpisce di più, anche se conferma dati analoghi registrati in altri paesi - commenta Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay -. Questi numeri rimandano alla realtà di almeno centomila bambini o ragazzi italiani con un genitore gay o lesbica. L'abolizione del pregiudizio sociale verso di loro e i loro genitori è un obiettivo primario per la società intera”.

E' un ritratto a chiaroscuro quello sulla condizione dei gay e delle lesbiche in Italia che emerge dalle prime analisi della ricerca, condotte su un campione scremato di 6774 soggetti (4690 maschi, 2084 femmine), che si autodefiniscono gay o lesbiche, o che hanno avuto rapporti sessuali recenti con persone del proprio sesso. Se per quanto riguarda aspetti più intimi, come la genitorialità, la realtà sembra più evoluta del previsto, altri aspetti della sfera pubblica, quali la libertà di non nascondersi, registrano un ritardo della situazione sociale.

Coming out: solo il 16,5% lo fa
Solo il 16,5% dei maschi e il 15% delle femmine del campione esaminato sono infatti pienamente “visibili”, cioè non nascondono il proprio orientamento sessuale in alcun ambito sociale: con gli amici, in famiglia, con i propri colleghi di lavoro o studio. E quasi un uomo su 10 (9,7%) e il 4,1% delle donne, invece, non ne ha mai parlato con nessuno.
Il grosso delle persone omosessuali, infatti, vive una situazione intermedia, evitando che alcune delle persone abitualmente frequentate venga a conoscenza della loro omosessualità. L'ambito in cui risulta più facile fare “coming out”, non fare cioè segreto della propria omosessualità, è quello degli amici, che ne sono tutti o quasi a conoscenza nel 48,9% dei casi. Ma è significativo che metà dei gay e delle lesbiche nascondano la propria sessualità anche ad alcuni di loro. Ancora più difficile appare la situazione in famiglia, dove solo il 38,6% degli intervistati ha parlato della propria omosessualità a tutti o quasi i familiari più stretti, mentre il 34% non ne ha mai parlato ad alcuno. L'ambiente più refrattario al “coming out” è infine il luogo di lavoro, dove solo una minoranza del 24,1% degli intervistati non nasconde la propria omosessualità, contro il 37,3% che non ne ha mai fatto parola. In tutti e tre gli ambiti sociali, e sia per i gay che per le lesbiche, appare inoltre più facile non nascondersi al Nord e al Centro Italia, piuttosto che al Sud.

“In generale nella nostra società l'orientamento sessuale, avere una relazione fissa, essere sposati, frequentare un partner, sono aspetti pubblici dell'identità e della sessualità di ciascuno, condivisi con le persone più vicine - osserva Raffaele Lelleri, sociologo e direttore dell'indagine -. Il fatto che l'84% dei gay e delle lesbiche eviti di parlarne in certi ambiti, in famiglia ad esempio, o tra gli amici o i colleghi di lavoro, indica che non percepiscono come abbastanza accogliente il clima dell'ambiente in cui vivono”.

Vita di coppia: le donne più degli uomini
Le donne tendono ad avere relazioni stabili più frequentemente degli uomini. Vivono in coppia il 60,7% delle femmine (8,7% con un uomo) a fronte del 45,7% dei maschi (il 5,5% con una donna). La ricerca riguarda infatti anche la popolazione bisessuale. Tra gli uomini la condizione di coppia aumenta con l'età: in particolare supera la metà del campione oltre i 31 anni. Tra le donne raggiunge un picco tra i 26 e i 30 anni e si stabilizza con una lieve flessione negli anni successivi. Fanno eccezione le coppie che le donne formano con un uomo, che invece calano nell'età adulta e più avanzata.

Nuovi partner: i gay on-line, le lesbiche tramite amici
I principali luoghi di incontro differiscono molto tra uomini e donne. Tra i gay la parte del leone la fa internet grazie a cui ha incontrato recentemente nuovi partner il 51,6% del campione. Segue un 32% che ha fatto incontri in locali pubblici omosex, come bar, discoteche, pub, il 20,7% in saune, il 20,5% in luoghi d'incontro all'aperto (ma solo il 9,4% tra gli under 25), il 16,1% a casa d'amici, il 14,9% in spiaggia e il 7,2% in associazioni gay e lesbiche. Ribaltata la situazione per le lesbiche, che si conoscono a casa di amici (18,6%) più che tramite internet (15,5%). Un buon 17,8% lo fa in locali omosex e il 6% presso associazioni gay e lesbiche. Al Sud i maschi hanno più difficoltà ad incontrasi nei locali, che sono molto meno diffusi che nel resto del paese.

Religione: cattolici il 41%
Sono credenti il 48,2% degli intervistati, con un'evidente discrepanza tra i gay (50,5%) e le lesbiche (42,9%). Non lo sono il 35,4% dei maschi e il 41,4% delle femmine, non sa o non è interessato il 14,6% del campione con una sostanziale omogeneità tra uomini e donne. Si definiscono cattolici solo il 41% dei gay e il 39,1% delle lesbiche. Rilevante, soprattutto tra gli uomini, la quota di buddisti. La grande maggioranza dei credenti è poco o per niente praticante.

Gay, lesbica o bisex?
Tra i maschi intervistati un'ampia maggioranza si definisce “gay” (62,1%), o omosessuale (9%). Uno su quattro sceglie però tra “bisessuale” (10,6%) o “solitamente non uso definizioni” (13,6%). Il rimanente 4,7% si divide tra “altro”, “non so”, e “eterosessuale”. Le femmine non usano un termine altrettanto condiviso di “gay”. Quelle che si definiscono “lesbica” sono infatti meno della metà (40,7%). Tra le altre il 6,5% sceglie “omosessuale”, il 4,5% “gay”, ma ben il 28,2% solitamente non usa definizioni (più del doppio dei maschi), il 13,3% è bisessuale. “Altro” è indicato dal 4,2% e il restante 2,6% si divide tra “non so” e “eterosessuale”.

Caratteristiche del campione
Il campione analizzato di 6774 persone (4690 maschi, 2084 femmine) è composto in stragrande maggioranza da cittadini italiani (97,7%). Il 31,6% vive nel Nord est, il 29,2% nel Nord ovest, il 22,3% nel Centro, il 17% nel Sud e nelle Isole. La distribuzione per fasce d'età è nettamente a vantaggio dei giovani. Gli intervistati con meno di 40 anni sono infatti l'84,9% del totale. In particolare quelli con meno di 25 anni raggiungono il 32,7%, quelli tra i 26 e i 30 anni il 20,9%, tra i 31 e i 40 anni il 31,3%, tra i 41 e i 50 il 12,2%, oltre i 50 il 2,8%. La quota di questionari compilati on-line è del 78,6%, contro il 21,4% su carta. La raccolta dei dati è stata coordinata da un'equipe scientifica di sociologi, psicologi e statistici ed è stata effettuata grazie all'aiuto di decine di volontari in tutto il paese.

Vita.it
15/12/2005 21:15
 
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secondo l'arcigay sarebbero 100.000 i bambini con genitori omosessuali



16/01/2006 15:08
 
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Gay-papà
Riceviamo. Argomento proposto da COSMO DE LA FUENTE

Ho ricevuto una lettera che mi ha fatto pensare molto. So di toccare un argomento delicatissimo, ma ugualmente cercherò di parlarne, con cautela e senza ergermi a giudice. Voglio proporlo in quei forum e quelle testate che considero non contaminate da interessi e quindi punti di libero scambio di idee.
Giovanni sta vivendo un momento molto delicato della sua vita, combattuto e maltrattato dalla moglie, da cui si è separato, la quale, a sua volta ha ricevuto un classico “pugno in faccia” nel momento in cui ha saputo che suo marito è omosessuale.
La situazione è molto delicata e difficile. Giovanni, disperato mi ha contattato e mi ha chiesto di parlarne, con la dovuta cautela e il cambio dei nomi, ma, prima di sottoporre la vicenda all’attenzione del pubblico ho voluto parlare anche con la moglie, che chiameremo Elvira.
- Elvira:
“Mi ha deluso e scioccato! Lo amavo e mai mi sarei aspettata una cosa del genere. Non voglio che mio figlio abbia a che fare con un padre omosessuale e farò di tutto affinché questo non accada. Mi fa letteralmente schifo, è un vizioso”.
- Giovanni:
“Non l’avevo ancora capito completamente, ora, mi sono reso conto di questo mio modo di essere. L’ho detto con sincerità a mia moglie e lei non ha voluto più saperne di me. Il fatto che io abbia questo tipo di tendenza non significa che non ami mio figlio. Sono sempre stato un ottimo padre e non capisco come possa Elvira negarmi di vedere il bambino, sapendo quanto lui sia legato a me”.

Il dramma che Elvira e Giovanni stanno vivendo ha dell’incredibile, ma è reale. Ho ricevuto molte lettere che toccano questo tema, ma questa volta il racconto era chiaro, vero e soprattutto mi sono trovato in possesso della versione di ambo le parti, ci troviamo di fronte a un dilemma dove è difficile prendere le parti.
Ci sentiamo di comprendere la reazione di Elvira? Riusciamo a capire cosa prova Giovanni? E’ giusto che un padre non possa avere a che fare con suo figlio per via della propria sessualità ed è giusto che la moglie si proclami giudice di questa situazione?
Dal mio punto di vista mi sento vicino a Elvira e penso che forse Giovanni avrebbe potuto parlarne prima con la moglie; a questa mia considerazione, però, lui mi ha detto che non se n’era mai reso conto prima. Ciò non toglie che la moglie abbia subito un trauma non indifferente. Non ritengo logico, in ogni caso, che un padre sia penalizzato e non possa più aver a che fare con il proprio figlio in quanto omosessuale e che venga addirittura sospettato di “pedofilia”. Se per ipotesi la moglie avesse denunciato la propria omosessualità sarebbe accaduta la s tessa cosa? Il padre avrebbe potuto costringere la madre ad allontanarsi dal figlio? Credo che anche in questo caso si viva una disparità non giusta in quanto esseri umani. Una differenza tra padre e madre, ancora una volta.
Poi mi domando come avrebbe reagito mia mamma di fronte a una rivelazione del genere, come si sarebbe comportata con mio padre, ma quelli erano altri tempi.
Cosa ne pensate voi? Vorrei conoscere il parere del pubblico. E’ la prima volta che parlo di questo e ricevute le vostre risposte, di uomini e donne potrei dare un seguito a questa storia che mette in luce un altro lato del difficile rapporto uomo - donna.
09/02/2006 09:52
 
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La gaia famiglia


Un libro di Margherita Bottino e Daniela Danna sulle famiglie omosessuali già esistenti, con o senza Pacs

Spesso accade che i fenomeni sociali precedano la percezione che si ha di essi. Capita così che quando si parla di genitorialità omosessuale, o omogenitorialità, la si pensi, per lo meno nel nostro Paese, come un’ipotesi che solo adeguate leggi -sull‘adozione o sull‘inseminazione per le persone singole- possano rendere possibile e non come una realtà già esistente. Ad avere figli sono invece molte coppie gay ma soprattutto lesbiche, ed a queste nuove famiglie, alle loro tipologie, alle questioni giuridiche ed alle ricerche che le concernono, hanno dedicato un libro, “La gaia famiglia”, Margherita Bottino e Daniela Danna. Nella maggior parte dei casi, per quanto riguarda l’Italia, i figli di persone omosessuali sono stati generati in precedenti relazioni, ma non mancano i casi di bambini generati all’interno di coppie già formate. La generazione, va da sé, è molto più facile per le coppie lesbiche che per quelle gay, che sono per lo più costrette a ricorrere all’adozione, ove ciò sia possibile, o a richiedere l’intervento di una persona esterna alla coppia- spesso si tratta di una donna lesbica che ne condivide il desiderio di maternità-. Secondo un’ inchiesta promossa nel 2001 dalla francese APGL (Associazione dei genitori e futuri genitori gay e lesbiche) tra 285 dei suoi associati, tre quarti dei padri e metà delle madri hanno avuto figli da precedenti unioni eterosessuali, 50 delle madri che hanno già figli ed altrettante tra quelle che ne vorrebbero hanno ricorso o ricorreranno all’inseminazione artificiale con un donatore anonimo, mentre le restanti si dividono tra l’adozione ed il ricorso al seme di una persona conosciuta. I padri, invece, optano o hanno optato per l’adozione o, minoritariamente, per il ricorso ad una madre surrogata. Dopo questa introduzione statistica il libro si addentra in una trattazione teorica sulla gaia famiglia. “In primo luogo fa parte delle leggi della Natura che la riproduzione umana avvenga per mezzo dell‘unione dei gameti maschili e femminili nell‘utero della donna[..] - scrive Danna - Ma dal principio biologico dell‘unione dell‘ovulo femminile e dello spermatozoo maschile all‘imperativo sociale che vuole che una famiglia debba essere formata da due persone di sesso diverso non c‘è alcun automatismo:lo dimostrano le molteplici forme di famiglia che sono esistite e che esistono tuttora.”

La famiglia nucleare come oggi la conosciamo, con l’ univoca divisione dei ruoli che la contraddistingue (pur nello smussamento che questa ha in parte subito), è un prodotto storico, e neppure dei più antichi, anche senza volersi addentrare nella trattazione di altri modelli familiari prodotti ad altre latitudini. Per non parlare dell’ipocrisia nel voler assegnare specifiche e univoche caratteristiche ai due sessi esclusivamente sulla base della loro configurazione biologica, se è la contemporanea presenza di una figura maschile ed una femminile ad essere richiesta per un sano sviluppo del bambino (e non si dimentichi che questi è comunque coinvolto in altre relazioni). Infine il ruolo “paterno” e quello “materno”, se si vuole assegnare questi nomi rispettivamente alla funzione disciplinante ed a quella affettiva e di cura, non devono necessariamente essere assegnati ad un appartenente al sesso tradizionalmente ad esso deputato.

Il reale rischio per i figli di persone omosessuali è lo scherno della società nei loro confronti a causa dell’atipicità della propria famiglia, ma questo è un problema che riguarda la società, non le famiglie atipiche. La seconda sezione del libro è il resoconto degli studi che sono stati effettuati sulle gaie famiglie. Data la delicatezza del tema dal punto di vista politico, scrive Bottino, le ricerche effettuate da studiosi favorevoli all’omogenitorialità, nettamente in maggioranza, hanno teso, nel passato, a sminuire le differenze nello sviluppo dei figli generati all’interno di coppie omosessuali rispetto a quelli provenienti da famiglie eterosessuali. Questa tendenza “difensiva” ha reso tali studi vulnerabili rispetto agli attacchi di quanti si oppongono alla genitorialità omosessuale, ma ha anche sminuito il potenziale innovativo che queste nuove tipologie di famiglia offrono rispetto a quella tradizionale, tradendo peraltro la persistenza di un pregiudizio eterosessista.

Una ricerca innovativa sotto questo profilo è stata quella di Stacey e Biblarz, risalente al 2001, che evidenzia come i figli nati da coppie omosessuali rispetto a quelli nati da coppie eterosessuali, a parità di capacità cognitive (ebbene si, sono state verificate anche queste) e benessere psicologico, si dimostrano più tolleranti, meno soggetti ai tradizionali ruoli di genere (questo vale soprattutto per le femmine, ma anche i maschi sono solitamente, ad esempio, meno aggressivi), maggiormente disposti a considerare diversi orientamenti sessuali prima di scegliere il proprio, anche se l’incidenza dell’omosessualità non è maggiore tra i figli delle gaie famiglie. Ma soprattutto lo studio rivela nelle coppie omosessuali, e specialmente in quelle lesbiche, che decidono di avere figli, una maggior condivisione sia della funzione di cura che di quella emotiva nell’allevamento di questi. Tutti questi elementi, lungi dall’essere squalificanti, rappresentano un essenziale terreno di sfida anche per la famiglia eterosessuale, affinché questa superi la perpetrazione di stereotipi di genere, l’asimmetria di ruoli e funzioni tra i sessi ma anche la diffidenza, che evidentemente è ancora preponderante, verso identità sessuali e di genere differenti. Il libro offre, infine, una interessante panoramica sulla situazione legislativa della maggior parte dei paesi occidentali per quanto riguarda il riconoscimento delle unioni omosessuali e la possibilità di adozione all’interno di queste o per persone singole.
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