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India, il punto sulla condizione gay

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2005 17:08
01/07/2005 17:08
 
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L’accettazione dei gay e dei loro diritti da parte della società in cui vivono è il risultato della tolleranza prodotta dalla società stessa, tolleranza che è la conseguenza di molteplici fattori di origine culturale, spesso provenienti da tradizioni od abitudini religiose, poiché il credo religioso e ciò che ne consegue sono un elemento che spesso inconsapevolmente permea noi e la nostra società, laici inclusi, al pari dell’acqua, ingerita ed assorbita dal corpo, elemento essenziale per la vita umana.

Paragonata ad un decennio fa, in Italia la situazione sta gradevolmente evolvendosi in modo positivo per i diritti di gay e lesbiche. Paradossalmente ci sono paesi del terzo mondo in cui la situazione rispetto a noi è sempre stata all’avanguardia nell’ambito del rispetto di chi è “diverso” dagli altri.

Uno di questi è l’India, terra in cui l’elemento religioso tradizionale ed autoctono, l’Hinduismo, si esprime in mille forme ed in diecimila contraddizioni che nei fatti hanno dato vita ad una generica tolleranza verso tutto e tutti, incluso coloro che sono definiti appartenenti al “terzo sesso”.

Ma il paradosso nel paradosso, classico di un paese come l’India, è che in città si può vivere un contesto tradizionale, definibile Swadhesi, termine Hindi traducibile con indigeno, autoctono, nostrano, mentre magari in Provincia, anche per mezzo delle nuove tecnologie, alcuni vivono una realtà più moderna. Ciò ovviamente vale per tutti ed in tutte le condizioni sociali o personali.

Applicando, o meglio tentando di applicare ciò nel nostro caso, se è possibile fare una suddivisione, in India il mondo gay può essere diviso in due realtà assolutamente diverse: la prima è composta da coloro che risiedono in città, che magari lavorano in una grande banca o sono responsabili di un’attività commerciale, che vivono da soli od a casa con i genitori, tutta gente che di massima gestisce le proprie relazioni interpersonali in modo alquanto parallelo a quello del mondo occidentale.

La seconda realtà, ultratradizionale ed ultrafolkloristico, assolutamente peculiare all’India, non ha alcuna similitudine con ciò che avviene in altre parti del mondo. Infatti vi sono delle “case aperte”, delle fattispecie di comunità in cui vivono esclusivamente persone definibili, secondo i canoni occidentali travestiti.

Queste case non devono esser confuse assolutamente con le case a luci rosse in cui è praticata la prostituzione, visto che di fatto sono comunità composte prevalentemente da Hijra, termine Hindi che più o meno significa travestito, uomo che si atteggia a donna.

Inoltre talvolta qualche hijra si prende cura anche dei bimbi figli della strada, quelli che altrimenti dormirebbero accanto alla spazzatura da cui spesso attingono per vivere.

In India da sempre dopo le nozze la sposa và a vivere col marito nella casa paterna assieme ai suoceri ed alle varie cognate, il tutto a formare un’unica, grande famiglia spesso composta da una ventina di persone. E’ molto raro, fino a poco tempo fa assolutamente non esisteva, salvo che nelle grandi città e comunque per questioni legate all’emigrazione interna, che una coppia etero, dopo le nozze andasse a vivere da sola.

Vi è un qualcosa di analogo nel mondo degli hijra, i quali, dopo essersi resi conto che a causa della propria natura non avrebbero potuto condurre una vita “ordinaria”, spesso sono stati cacciati da casa oppure se ne sono andati spontaneamente facendo “il grande passo” una fattispecie di outing all’Indiana, concretizzato andandosene a vivere assieme ad altre persone a loro simili, persone con cui condividevano e condividono il modo di interpretare la vita.

Nessuno deve fare l’errore di immaginarsi delle case in cui vivono delle drag queer vestite in modo appariscente, con abiti succinti od alla Platinette: infatti costoro rimangono assolutamente fedeli ai canoni dell’abbigliamento indiano femminile, pertanto indossano un sari al pari della stragrande maggioranza delle donne indiane e si truccano come le loro sorelle, a nessun Hijra verrebbe in mente di andarsene in giro con vestiti inusuali o di truccarsi pesantemente per tentar di accentuare il proprio aspetto femminile.

Si deve aggiungere che, almeno agli occhi dello scrivente, assolutamente etero, negli hijra non vi è nulla di femminile, nulla di minimanente paragonabile ai travestiti tailandesi, i Khatoei, che spesso almeno all’apparenza, ovvero finche parlando rivelano una voce non propriamente da Venere, possono trarre in inganno chiunque.

La bella, gioiosa, buffa caratteristica degli Hijra è il come si guadagnano la vita: andandosene in giro in gruppo armati di tabla ed altri strumenti musicali, nonché di frusta, usata non con fini sadomaso bensì per dettare il ritmo musicale ed attrarre l’attenzione della gente facendola schioccare nell’aria.

Muniti di ciò intrattengono i passanti con musica e canti necessari per giustificare richieste di denaro, talvolta di natura molto blandamente estortiva, visto che, alla pari di molti pseudossantoni Indiani rivolgono ai passanti frasi come <> il tutto al fine di sfruttare l’incredibile credulità Indiana.

Dopo aver ottenuto la tanto agognata bakshish -mancia, riconoscimento- le modalità intimorenti si trasformano in una fattispecie di benedizione, spesso proporzionale alla consistenza della bakshish stessa.

Un’ Hijra non è mai oggetto di derisioni, addirittura spesso sono quasi temuti, rispettati quasi come se fossero un’incarnazione di una delle mille divinità indiane. Al limite si può scherzare con loro rivolgendogli la classica domanda che si pone a qualsiasi donna indiana: “Quanti figli hai?...Che bel sari che indossi… te lo ha regalato tuo marito?.....A casa cucini tu o tua suocera?” con le risposte che inevitabilmente provocano le risate di tutti i presenti.

Per ricevere delle offerte consistenti gli Hijra se ne vanno negli Ospedali, dove nei reparti di ginecologia o maternità hanno i loro contatti, e si informarsi su dove risiedono le donne che sono in procinto di partorire -il concetto di privacy in India assolutamente non esiste-.

Conosciuto il luogo di residenza, al momento opportuno si recano a casa loro per chiedere una bakshish in cambio di una fattispecie di benedizione, inversamente minacciano profezie disastrose sia per il nascituro che per la madre. Siamo sempre in India: non si deve interpretare il tutto come un’estorsione.

Ecco una spassosa vicenda accaduta una decina di anni addietro quando mi recavo spesso in India per regioni lavorative:

Un pomeriggio ero a Jaipur, grossa centro urbano del nord, nell’Ufficio di Madho, un mio fornitore: musica, canti e schiamazzi vari preannunciavano l’arrivo di un gruppo di Hijra.

Del mio fornitore, con cui ero amico da anni, conoscevo bene tre cose: la sua credulità, il timore verso gli Hijra e soprattutto la sua avarizia, pertanto facendo una somma dei tre fattori, su due piedi decisi di combinargli un bello scherzetto a vantaggio degli allegri musicanti: mi misi alla finestra e, nonostante le sue suppliche, nelle poche parole che conosco in Hindi li invitai a raggiungerci…. <> fù l’esplicita ed onerosa richiesta del loro capogruppo, sulla cinquantina, ben piazzato, d’aspetto assolutamente non femminile nonostante il sari ed il velo che copriva testa e spalle …<> risposi.

In un attimo furono in ufficio, col leader che si informava con Madho su chi fosse il titolare dell’attività. La risposta di Madho fù: <>

Al che mi introdussi nello scambio di battute affermando perentoriamente <>

Smascherato il trucco, senza proferir parola il capogruppo si avvicinò alla scrivania dove era seduto Madho e con voce gracchiante iniziò immediatamente a cantare al ritmo delle tabla, contemporaneamente prese i lembi inferiori della gonna facendola roteare ed innalzandola in modo lento ma graduale.

Sempre senza di nulla, con una velocità fulminea Madho aprì il cassetto ed estrasse una banconota da venti rupie, offerta d’entità ordinaria, che consegnò al capogruppo, il quale smise di cantare e iniziò una blanda trattativa per ottenere un’offerta più consistente….

Con tanta perfidia aggiunsi: <>

Mentre dentro me la ghignavo da matti, i due arrivarono ad un veloce compromesso “Next time dusra bakshis…la prossima volta che passate un’altra mancia” dopodichè il capogruppo riprese a cantare, ma la litania si era trasformata in una fattispecie di benedizione di ringraziamento e, soprattutto, la gonna non roteava più.

Finito tutto, con un veloce scambio di convenevoli capogruppo e tablawalla se ne andarono per raggiungere gli altri della comitiva, dopodichè Madho, una volta sicuro di non esser udito da loro, prese a mitragliarmi di parolacce in tutte le lingue, parolacce che produssero l’effetto di far scompisciare di risate me ed i curiosoni nel frattempo arrivati in ufficio.

Ristabilita la situazione chiesi a Madho perché il veder la gonna roteare ed innalzarsi lo avesse indotto a metter mano al borsellino <> disse Madho con un volto disgustato ed assieme timoroso…<< Avrebbe continuato ad alzare la gonna fino a mostrarmi ciò che aveva sotto….>>

Dopodichè, pensando ancora alle sue venti rupie, riprese ad insultarmi tra le risate di tutti.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33005
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