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''Mai più guerre''. Zapatero riforma la Costituzione

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2005 17:18
01/07/2005 17:18
 
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"Solo l'Onu può autorizzare interventi armati". Il premier spagnolo conferma di essere il battistrada del rinnovamento del socialismo europeo. La priorità dei diritti e della riforma della politica.


Per José Luis Rodríguez Zapatero, i simboli hanno una grande importanza nell'azione politica. Forse sono state le femministe del Partito socialista a insegnarglielo, o forse è stata la consapevolezza culturale del più giovane premier europeo che ha voluto fin da subito che il suo governo fosse formato da 8 ministri uomini e 8 ministri donne.
Il quarantacinquenne primo ministro spagnolo non finisce mai di stupire, almeno noi della sinistra italiana che abbiamo un centrosinistra molto prudente sia nel proporre mutamenti strutturali dell'economia sia nello scegliere la via dei diritti di cittadinanza. E' di ieri la notizia che il governo di Madrid sta esaminando la bozza di una riforma della propria Costituzione che cancelli la possibilità per la Spagna di dichiarare guerra ad altri paesi o di partecipare ad azioni di guerra senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite.
Questa ipotesi di riforma, per renderla solenne e autorevole (quindi, dal forte valore simbolico), è stata avanzata dal ministro della difesa José Bono. Il tema del rinnovamento della Carta costituzionale si è imposto a causa dell'esigenza di ridisegnare quanto prima gli statuti di autonomia delle singole regioni e le loro quote di finanziamento allo Stato centrale. Zapatero ha colto l'occasione di questa discussione per inserirvi anche la questione della pace e della guerra.
In Spagna, contro la guerra in Iraq, ha preso forma negli anni scorsi il più radicato movimento pacifista europeo. L'85 per cento degli spagnoli si dichiarò nei sondaggi contrario a qualsiasi ipotesi di intervento militare in Iraq, quando il governo di destra di José Maria Aznar decise di accodarsi alle decisioni di Washington e Londra. Zapatero, in ossequio a quella maggioranza, non ci pensò due volte a mantenere l'impegno che aveva annunciato nella campagna elettorale del 2004: se avesse vinto le elezioni, i militari spagnoli sarebbero tornati in patria. E così è avvenuto puntualmente. Gli attentati terroristici dell'11 marzo 2004 alla stazione ferroviaria di Atocha a Madrid, firmati dai fondamentalisti islamici di Al Qaeda, ebbero l'effetto di dividere in due la Spagna: da una parte la sinistra di Zapatero che ribadì il suo impegno pacifista, dall'altra la destra di Aznar che tentò di scaricare sull'Eta (l'organizzazione separatista basca) la responsabilità di quell'azione. In questo modo, si produsse una spaccatura politica destinata a durare: i socialisti rifiutarono la logica di chi occulta la verità all'opinione pubblica e scelsero la strada di rifondare una visione dell'agire politico che si basa su ascolto e coerenza tra di governa e chi è governato.
Da quando Zapatero è al governo, si fa fatica a dar conto delle sue iniziative politiche e legislative: ritiro dall’Iraq, critica alla politica imperiale di Bush, riconferma della vocazione europea della Spagna in alternativa alla politica filoamericana del suo predecessore Aznar, dialogo con il mondo musulmano (a iniziare dal Marocco, che è quasi un paese confinante), forte impegno nella cooperazione con i paesi in via di sviluppo in America Latina. A tutto ciò, naturalmente, bisogna aggiungere le riforme civili che tanto scalpore hanno suscitato fuori della Spagna: matrimonio per i gay, legge contro la violenza maschile anche nei nuclei famigliari, divorzio più rapido, rilancio dell’istruzione pubblica, nuove normative sull’aborto e la procreazione assistita, via libera alla ricerca sulle cellule staminali, riforma della tv pubblica per renderla finalmente indipendente dai governi e dai partiti, via libera all'abbattimento delle statue che ritraggono ancora il dittatore Francisco Franco in molte piazze spagnole (altra iniziativa dall'alto valore simbolico), sanatoria degli alti tassi d'immigrazione per favorire l'emersione del lavoro nero, mettere uno stop alle aziende che non pagano le tasse e far progredire i processi d'integrazione di una società che si vuole multietnica e multiculturale.
Tutte queste iniziative si richiamano a una idea di rinnovamento della politica: coerenza tra il dire e il fare, impegno per democratizzare la società puntando a far crescere la consapevolezza culturale dei cittadini, ampliamento dei diritti di inclusione nel circuito della rappresentanza democratica, autonomia dello Stato laico rispetto alla Chiesa cattolica. Questa linea d'azione politica ha suscitato forte entusiasmo in vasti settori della società civile spagnola e internazionale ma anche aspre critiche (l’Amministrazione Usa, la Chiesa, l’opposizione di destra). Dubbi e incomprensioni nei riguardi del presunto “radicalismo” di Zapatero (la “democrazia dei cittadini”) sono emersi anche all’interno della socialdemocrazia europea, criticata dallo stesso premier spagnolo per “aver dimenticato, nella tappa finale del Novecento, la società e il funzionamento della democrazia limitando il suo progetto ai problemi dell’economia“. La politica di Zapatero, d’altra parte, rende evidenti i ritardi della socialdemocrazia in molti paesi: linguaggio politico anchilosato; autoreferenzialità degli apparati di partito; disagio di fronte ai grandi mutamenti sociali indotti dalla globalizzazione a livello mondiale. Ecco perché può piacere o non piacere, ma la politica dei socialisti spagnoli dovrebbe in ogni caso far discutere.
Il premier spagnolo, che ha solide letture alle spalle nella precoce carriera universitaria di docente di diritto nella sua città di origine di León, si rifà alle teorie di Juergen Habermas e di Philip Pettit. Quest'ultimo è diventato il consulente politico-intellettuale di Zapatero. Nato in Irlanda nel 1945, Pettit è un filosofo della politica che insegna nell'Università di Melbourne, dove – con i suoi studi – ha rinnovato il filone culturale che si richiama ai diritti di cittadinanza e al recupero della tradizione repubblicana (dalla Rivoluzione francese al Risorgimento italiano). Pettit, poco conosciuto in Italia, propone una critica originale al liberalismo (anche a quello di sinistra) e un'ipotesi di rinnovamento della tradizione socialdemocratica europea eccessivamente economicista e che ha perso la bussola di fronti ai processi di globalizzazione dell'economia mondiale.
Dopo un anno di governo, Zapatero resta un politico “alternativo”. Le sue decisioni di governo sono state fin dall’inizio guidate dal “valore dell'eguaglianza e della trasparenza” e dall’esigenza di intercettare le nuove aspettative della società civile superando il tradizionale astensionismo di sinistra e l’apatia politica dei giovani. E' troppo chiedere al centrosinistra italiano di discuterne?

http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=5391&numero=293
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