Ecco l'Europa che perseguita i gay»
La denuncia di Hrw: «Botte e repressione, in Polonia omofobia di Stato». E la Russia vieta il pride
In Polonia oggi c'è una «omofobia ufficiale» che «minaccia i diritti umani» e la libertà di espressione della comunità gay. E viene dalle più alte cariche dello stato. Lo ha ricordato ieri Human rights watch (Hrw), ammonendo Varsavia a garantire l'uguaglianza di tutti i cittadini, con una lettera diretta a Lech Kaczyinski, il leader del partito Legge e Giustizia divenuto presidente dopo la vittoria della coalizione di centrodestra alle elezioni di novembre. Proprio lui, l'ex sindaco di Varsavia che ha sempre negato l'autorizzazione a un pride cittadino per la comunità che si riconosce nella sigla «Glbt» (Gay lesbian bisexual transgender). Quella di Hrw non è la prima reprimenda sul tema rivolta a Varsavia. A gennaio il Parlamento Europeo - preoccupato dalla crescita dell'omofobia in Polonia e negli altri stati dell'Est entrati nella Ue dal 2004 - ha adottato una risoluzione che invita tutti i paesi membri a condannare ogni discorso o atto che inciti all'odio e alla violenza antigay. Ma nella nuova Polonia l'omofobia è arrivata al governo, dopo essere stata largamente spesa in campagna elettorale. E dopo il recente rimpasto seguito a una crisi interna, il premier Marcinkiewicz ha dovuto accogliere nella coalizione anche gli ultracattolici della Lega delle Famiglie polacche e gli euroscettici di Autodifesa, da sempre oppositori dei diritti gay-lesbici. In sintonia con il potente network di Radio Marija, non nuovo a proclami contro ogni tipo di «diversità». Dal 2003 la Polonia ha una legge contro la discriminazione, ma la motivazione per «orientamento sessuale» non è chiaramente specificata, come non lo è nella Costituzione a causa della forte obiezione della chiesa cattolica.
Nonostante tutto, l'11 giugno scorso 2.500 esponenti Glbt sono scesi in piazza nella capitale. È finita maluccio: i robusti cordoni di polizia anziché fare da argine contro le centinaia di manifestanti antigay - simpatizzanti del movimento di estrema destra Grande Gioventù Polacca - hanno lasciato che la violenza. Stessa solfa a Poznan, dove a novembre una Marcia dell'Uguaglianza è stata violentemente repressa dalle forze dell'ordine; e a Cracovia, dove nell'aprile 2004 il Festival di cultura gay, dichiarato illegale dalle autorità locali, è finito di fronte all'assedio di 300 hooligans. Infine, il 2 febbraio la sezione polacca dei neonazisti di Blood and Honour ha pubblicato sul proprio sito web un elenco con foto dei «nemici della Polonia»: militanti di movimenti antifascisti, femministe, organizzazioni radicali di sinistra, omosessuali, negri, «punk». Nella cattolicissima Polonia gli omosessuali non se la sono mai passata bene, nemmeno all'epoca dell'ateismo di stato. Ma oggi, passati anche i tempi di Woityla, sebbene la scena gay nazionale vanti una trentina di organizzazioni ufficiali e numerosi club, la situazione sembra peggiorata.
Non va meglio nella vicina Lettonia: a Riga la scorsa estate - nonostante la contrarietà del premier Kalvitis - si è svolto il primo gay pride del paese, con poche decine di marciatori circondati da centinaia di oltranzisti di destra, protagonisti di aggressioni dirette che la polizia ha tentato inutilmente di arginare. Per i gay dell'Est, Bruxelles è l'ultima speranza. Lo pensano anche in Russia, dove a maggio dovrebbe tenersi il primo gay pride della storia della Federazione: il sindaco di Mosca Luzhkov, fedelissimo di Putin, ha già detto no. Ma gli attivisti sono pronti a ricorrere alla Corte di Strasburgo.