UNIONI GAY. SILVIO BERLUSCONI FRENA GLI AZZURRI
Pacs, quell'orrenda sigla che sta per patti civili di solidarietà, e che in soldoni significa: unioni di fatto (anche) tra persone dello stesso sesso. Ebbene, i pacs, per il presidente del Consiglio e capo della maggioranza, non sono all'ordine del giorno delle cose da fare in Parlamento.
Almeno, non tra quelle da fare con urgenza.
Il Cavaliere lo ha detto en passant, ma a chiare lettere, alla presenza di un membro del governo e di un parlamentare della Casa delle libertà che martedì pomeriggio erano in via del Plebiscito per parlare con lui degli effetti del referendum sulla procreazione assistita sulla prossima campagna elettorale.
«Non possiamo lasciare all'Udc il monopolio dei valori cattolici e della famiglia», ha spiegato Berlusconi ai suoi interlocutori.
«Ancora non riesco a spiegarmi come mai Gianfranco (Fini, ndr) abbia potuto prendere quella posizione sul referendum», ha aggiunto poi rivolto al collega di governo, appartenente ad Alleanza nazionale. Quindi, riprendendo un concetto già espresso altre volte: «Dobbiamo raccogliere l'eredità lasciataci da quel 75 per cento di
italiani che non ha votato al referendum: una buona parte di loro lo ha fatto per motivi ideali».
A seguire, una serie di osservazioni ipercritiche sui matrimoni gay in Spagna, e quella frasetta: «Non è il momento di parlare di pacs, è inopportuno».
Non che nella Cdl le idee siano chiarissime, al riguardo. Ma dopo le affermazioni di Sandro Bondi dell'altro giorno («sì al riconoscimento delle coppie di fatto, anche dello stesso sesso, ma nella prossima legislatura»), dopo le mezze aperture di Marcello Pera, ma non di Pier Ferdinando Casini, protagonista insieme al collega del Senato di un incontro con il diessino Franco Grillini, alfiere dei matrimoni gay, ieri, alla Camera, si può
quasi dire che non si parlasse d'altro che di unioni di fatto, coppie gay, soggetti "deboli" da tutelare e così via.
Con buona pace del Cavaliere, che intanto volava verso Gleeneagles, in Scozia, per il G8, erano in tanti a credere che affrontare l'argomento fosse più che opportuno. Per affermare che «entro fine luglio dovremmo riuscire a raccogliere le proposte di
legge sui pacs in un testo unificato» (Gaetano Pecorella, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, ma anche Giuliano Pisapia, rifondarolo e relatore del provvedimento).
Magari aggiungendo che «prima però vogliamo completare le audizioni: ne abbiamo appena chiesta una a Zapatero» (sempre Pecorella, ridendo).
Incidentalmente va detto che di audizioni, in commissione Giustizia, ne sono previste ancora una ventina: una doveva esserci stamane ma è slittata alla prossima settimana.
Maurizio Lupi e Angelo Sanza, forzisti e cattolici, non riescono a trattenersi. Parlano praticamente all'unisono: «I pacs? Nel migliore dei casi sono una cretinata, nel peggiore, un primo passo per introdurre anche in Italia i matrimoni gay. Le priorità sono altre. Sono le giovani coppie che non trovano casa, per esempio. Sì, Bondi ha detto andiamo avanti, ma nella prossima legislatura, no?». Luigino Vascon (leghista puro e duro): «Bondi è un comunista».
E Francesco Giro, forzista, responsabile per i rapporti col mondo cattolico nonché consigliere politico di Bondi: «Vascon parla di Bondi, ma non ha approfondito le sue proposte». Bruno Tabacci (l'aria di chi ha cose più importanti a cui pensare): «Pacs, pacs... Politica agricola comunitaria?».
Publio Fiori (An, vicepresidente della Camera): «Il tema è delicato».
Roberto Castelli, unico ministro presente ieri alla Camera e per questo interpellato su tutto l'interpellabile (agitando l'anulare sinistro): «Io porto la fede, non so di queste cose». Insomma, una fiera di commenti, non tutti impredibili. Tranne, forse, quello del vicecapogruppo forzista al Senato, Lucio Malan: «Non so se i pacs farebbero morire la famiglia, ma probabilmente le reversibilità bancherebbero la previdenza.
L'Inps morirebbe in pacs». Amen.
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